HSE Resilienza e gruppo

La resilienza come qualità del gruppo è la seconda tappa del nostro percorso: la prima sul tema dell’individuo resiliente e la terza che sarà dedicata all’organizzazione resiliente. E’ costituita dalla capacità di reagire insieme alle situazioni critiche, risolvere problemi, superare le difficoltà presenti a volte nel contesto di lavoro.

Alla base della resilienza della squadra ci sono alcuni principi importanti, come quello di saper ascoltare le considerazioni/proposte degli altri membri del gruppo, saper comunicare positivamente, condividere pareri e opinioni, creare relazioni di fiducia all’interno del gruppo.

La squadra costituisce la zona centrale nella costruzione della cultura della sicurezza: i comportamenti auspicati di collaborazione e segnalazione di anomalie o di segnali deboli che precedono l’insorgere delle criticità, l’essere soggetti attivi e collaborativi, diventa il nuovo standard di comportamento, reso possibile da un atteggiamento non colpevolizzante del management. E’ nella dimensione del gruppo che si “parla la sicurezza”, per esempio attraverso il near miss reporting, che in questa visione non consiste semplicemente in una attività di segnalazione, ma è sostenuto da una valutazione preliminare condivisa a livello gruppo o squadra operativa.

Si attiva per condivisione il processo di sviluppo culturale sulla sicurezza.

Il gruppo è inoltre il luogo di rielaborazione dei contenuti comuni, la zona in cui possono avvenire i trasferimenti positivi di esperienza ad esempio tra “senior di mestiere” e junior, il luogo della prevenzione per eccellenza; non più percezioni parziali ma percezioni parziali che si integrano attraverso il dialogo e diventano possibilità di azione condivisa.

Si pensi all’importanza del collega nell’affrontare la dinamica del problem solving (modello SRK, Rasmussen, 1983): di fronte alla continua variabilità delle condizioni specifiche di contesto, tipica dei sistemi complessi, la soluzione all’insorgere di una nuova situazione critica molto spesso è conosciuta, all’interno del gruppo operativo: si tratta di creare le condizioni perché venga rilasciata, attraverso un dialogo costante sulle modalità di prevenzione e gestione dei rischi.

Per accedere a questa zona costruttiva presente nella dimensione gruppo è necessario però evitare tre trappole percettive (Bracco, 2007): la trappola del senno di poi, del lieto fine e della simmetria o effetto farfalla.

La trappola del senno di poi

Quando un incidente si è verificato le cause che l'hanno generato sembrano chiare e la dinamica causa-effetto dei fatti appare lineare; prima che accada l’operatore è immerso in serie complesse di interazioni tra numerosi fattori ed elementi. L’ambiente di lavoro è un sistema complesso e dinamico che non permette di vedere chiaramente quali fattori-causa stanno generando situazioni critiche.

La trappola del lieto fine

La trappola del lieto fine è quella che scatta quando… non accade l’incidente. Se la situazione critica non sfocia in incidente, ma ci si arriva vicino… si ringrazia il cielo e tutti continuano a comportarsi come prima. Questa trappola ci impedisce di far tesoro dell’esperienza e di prevenire situazioni critiche simili che possano accadere in futuro.

La trappola della simmetria o dell’effetto farfalla

Piccole disattenzioni possono provocare effetti drammatici, in certe condizioni di contesto. «Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas». Piccole cause possono generare grandi effetti per via di un effetto domino ben conosciuto.

 Il gruppo ha un ruolo chiave nell’intercettare la presenza di queste trappole. Le forme di “intelligenza collettiva” sono molto più efficaci per azioni che si svolgano in sistemi complessi come sono quelli aziendali.

Un altro modello importante, a livello gruppo, è la “Coppa della sicurezza” dell’amico Fabrizio Bracco, che permette un’analisi del contesto e delle interazioni tra le varie dimensioni del contesto in cui il gruppo opera:

  • Software (le informazioni presenti),
  • Hardware (il sistema fisico con cui si interagisce, la macchina),
  • Environment (l’ambiente in cui si opera),
  • Liveware (le altre persone con cui si coopera).
  • Questi quattro tasselli sono in interazione con un quinto tassello, anch’esso chiamato Liveware, che è l’operatore.

I tasselli che formano questa coppa possono non combaciare bene fra loro, e quindi tra gli interstizi può colare il prezioso “liquido della sicurezza”.

Il gruppo resiliente è il soggetto impegnato nel quotidiano a ridurre gli interstizi e a prevenire i possibili errori che si generano. Le anomalie nei sistemi complessi sono in genere dovute, infatti, a fallimenti di comunicazione e relazione funzionale tra i tasselli, tra gli elementi, piuttosto che a malfunzionamenti degli specifici sottosistemi.

Per udire e parlare la sicurezza a livello di gruppo bisogna quindi saper ascoltare gli altri, i compagni di lavoro, i membri del nostro gruppo operativo, entrare in una relazione funzionale non esclusivamente gerarchica (quindi di ruolo) perché la diversità di ruolo struttura forme proprie, parziali, di percezione dei fenomeni.

Dialogo tra persone che ricoprono ruoli differenti o in possesso di esperienze diverse: la differenza da barriera alla comunicazione diventa ricchezza percettiva. Ascoltare significa vedere criticità, aspetti problematici ed insidiosi del lavoro che la squadra affronta quotidianamente, integrazioni parziali tra le diverse dimensioni che strutturano il sistema socio-tecnico relativo al contesto.