Come costruire la cultura della sicurezza?

La cultura della sicurezza, nelle organizzazioni complesse, si costruisce attraverso uno sviluppo del modello della Resilienza, articolato su più livelli.

A livello individuale e di gruppo:

  • consapevolezza: parola chiave, come sempre, deriva dalla capacità di acquisire e gestire le informazioni che circolano nel sistema, ottimizzandole in modo da evitare lacune e ridondanze: va coltivata attraverso il training e l’affiancamento dei senior;
  • prontezza: capacità dell’organizzazione di prevedere i problemi, sensibilizzando i propri membri nell’attenzione ai segnali deboli, alle anomalie, alle procedure rischiose. Le persone vanno addestrate a una mentalità previsiva, a cogliere i segnali deboli del rischio emergente per tempo;
  • flessibilità: consiste nella capacità del sistema di adattarsi a una situazione imprevista ottimizzando le risorse al fine di ottenere un buon risultato e senza intaccare le proprie normali funzionalità, si realizza conferendo agli operatori allo sharp-end quei poteri decisionali che – se altrimenti trattenuti dal top management – comporterebbero ritardi e problemi di comunicazione.

 

A livello di organizzazione:

  • opacità: l’organizzazione è consapevole di muoversi vicino al margine del rischio, sa quanto può osare e come ritirarsi se necessario; caratteristica di molti sistemi complessi;
  • impegno dei dirigenti di alto livello: la dirigenza riconosce il valore della prestazione dei membri dell’organizzazione e si impegna a indirizzarla per continui miglioramenti, considerando la natura fallibile ma flessibile del fattore umano;
  • cultura giusta: supporto del libero resoconto di eventi o fattori di rischio a partire dai livelli “sharp end” sino ai vertici organizzativi, evitando la formazione di una cultura della colpa, condizione che inibirebbe ogni intenzione di segnalare situazioni anomale e comportamenti rischiosi;
  • cultura dell’apprendimento organizzativo: indica il grado in cui l’organizzazione sa capitalizzare le lessons learned, si osserva dal tasso di innovazione, di cambiamento a seguito di monitoraggio dei feedback di prestazione, dei resoconti sulla sicurezza, ecc...

 (elaborazione da Wreathall, 2006)

In sintesi, l’organizzazione resiliente sa delegare, è flessibile, è sensibile ai segnali deboli, è aperta all’apprendimento, non crea una blame culture, ottimizza la circolazione dell’informazione (Bracco, 2007).

Se a ogni livello, dell’individuo, del gruppo, dell’organizzazione, vengono attivate le nostre capacità percettive ed ognuno fa bene il suo lavoro di resilienza, l’organizzazione saprà vedere, ascoltare e parlare la sicurezza.

Potremmo dire inoltre che l’organizzazione resiliente è particolarmente “orientata alla ricerca di significati rispetto alla possibilità di perseguire determinati obiettivi”, a processi di making sense e a modalità etiche, centrate sui valori, di azione (Fichera, 2006); la posta in gioco è sempre alta: l’incolumità delle persone e/o del business.

Questo percorso di sviluppo della resilienza attiva capacità di leadership diffuse, coinvolgendo in modo nuovo il personale, e struttura una visione condivisa della sicurezza e una cultura che orienta le persone a mantenere nel tempo un comportamento virtuoso nei confronti della prevenzione e gestione dei rischi. La sicurezza si “fa da sé”: i comportamenti virtuosi saranno spontaneamente adottati dalle persone se coinvolte in una visione condivisa sul modo di fare sicurezza in azienda.

 

L’applicabilità di questo modello è molto ampia, e le organizzazioni oggi possono guardare alla resilienza come a una nuova frontiera per gestire non solo la sicurezza, nelle sue molteplici dimensioni, ma anche il business, soggetto a fasi di crisi causate da problematiche complesse e a scarsa prevedibilità. Un modello sistemico per costruire una cultura resiliente che potenzi le capacità di gestire in modo efficace gli elementi critici delle imprese e delle organizzazioni in genere.