Paradigmi: conversazioni interiori e arte dell'ascolto

“Mi libero dai paradigmi legati alla mia storia, successi e insuccessi. Apro nuove possibilità, vivo nel futuro. La mia identità si rafforza “fuori” da vecchie conversazioni, non sono più prigioniero, sono io che scelgo loro.” (da A Beautiful Mind)

 

Le nostre convinzioni radicate, i paradigmi consolidati, prendono vita come entità a sé stanti, conducendo in certi casi (quotidiani, non necessariamente patologici) una vita, si potrebbe dire, autonoma dalla nostra e condizionandoci grandemente. 

Il personaggio principale di questo film (ricordo che è tratto dalla vita dello scienziato John Nash, premio Nobel per l’economia) per una grave patologia psichica vede e vive con personaggi del tutto immaginari: il suo mondo è fatto di relazioni e rapporti con fantasmi, proiezioni del suo io malato, per quanto geniale.

Ritroverà un equilibrio, un’identità, come descritto nella citazione iniziale, liberandosi dalle vecchie conversazioni, riprendendo per se stesso la possibilità di sceglierle.

E’ singolare come esempio, per quanto estremo, del modo con cui le conversazioni interiori, quelle frasi che riempiono la nostra mente durante il corso della giornata, funzionino.

Noi siamo le nostre conversazioni, come vedevamo in un articolo precedente.

Questi paradigmi assolvono un’importante funzione difensiva, consolidano una barriera protettiva, che costruiamo intorno per sopravvivere (più che vivere) permettendoci di restare in una zona di relativa sicurezza: la cosiddetta “comfort zone”.

I paradigmi, le conversazioni interiori, sono né più né meno che frasi, stringhe di parole.

Quando noi esprimiamo un concetto, un’idea, un’opinione, esprimiamo una frase che si è formata dentro di noi e che noi rilasciamo come (nostra) verità.

La parola, anche da questo punto di vista funzionale, ha un enorme potere fondativo: struttura la nostra stessa identità.

I nostri paradigmi hanno una forma verbale; e così potremmo dire che le nostre verità, le credenze e le opinioni che difendiamo a tutti i costi come essenziali per noi, e che determinano in larga parte ciò che noi siamo, sono “semplicemente” delle conversazioni.

Questa è la brutta notizia.

L’insight di questo fatto è disperante, e rischia di gettarci nella depressione più nera, minando in un attimo la nostra identità e con essa la nostra sicurezza, ma presenta anche, per le “strong people”, come le definirebbe Daniel Tocchini - cioè per le persone che sanno aprire nuove conversazioni (i leader di domani secondo questo trainer americano) - alcuni aspetti di grande interesse.

Infatti se i nostri paradigmi consolidati sono “solo” conversazioni, questo significa che possiamo cambiarle, creandone altre, più funzionali all’esplorazione del futuro che abbiamo davanti a noi, ricche di nuove possibilità.

Questa è la buona notizia.

 

Vivere il tempo kairos

Abbiamo visto in un altro articolo il rapporto tra paradigmi e tempo, e in particolare il legame tra paradigmi e passato, sotto il dominio del tempo meccanico, Cronos, il tempo divorante, contrapposto al tempo Kairos che rappresenta l’occasione, la possibilità, il futuro.

Noi procediamo nella vita con lo sguardo rivolto al passato, perché vediamo la realtà attraverso il filtro di convinzioni maturate nel nostro passato.

Al contrario dovremmo mettere i piedi saldamente nel nostro futuro (ma cos’è il futuro? Una meta, una visione, un punto su cui vorremmo orientare la nostra rotta, forse), e da quel futuro dovremmo guardare al nostro presente. Futuro-presente: questa la dimensione vera in cui vivere… non quella del passato.

Questo non toglie niente all’importanza del passato, delle esperienze maturate, passato ricco di frutti per noi, che possiamo trasmettere sotto forma di seme ad altre persone in un processo di apprendimento continuo che di fatto è la vita di relazione.

Il passato ci permette di apprendere, ma ci inchioda se noi lo concepiamo come riferimento per la nostra vita. L’apprendimento che maturiamo nel tempo che passa e che se ne va rapidamente alle nostre spalle è un riferimento, non la dimensione del vivere il presente.

Ma questo i paradigmi non lo sanno e forzano continuamente il nostro presente, cercando di prendersi tutto lo spazio vitale possibile: si nutrono di questo spazio.

Ma come fare a esercitare questa disciplina, questa ginnastica correttiva di scelta delle conversazioni interiori?

In primo luogo, direi, ascoltare il disagio: quando sentiamo in noi affiorare il disagio siamo più vicini del solito alla verità (sempre comunque la nostra); il disagio è sintomo di uno schema percettivo (cioè paradigmatico) che non funziona più al meglio… una convinzione incrinata si nasconde da qualche parte, e attraverso questa incrinatura preme qualcosa di nuovo che vorrebbe avere un ruolo in primo piano, essere selezionato dal magma confuso delle nostre percezioni e rendersi visibile creando una nuova gestalt…

Ma non sarà così facile perché tutto dentro di noi tende a procedere e a portarci nell’altra direzione, quella del noto, delle nostre confortevoli convinzioni.

In questo punto riveste grande importanza il ruolo della domanda; sempre citando un trainer, Gianpiero Collu (blog), dobbiamo imparare a “stare nella domanda”, a “danzare” in essa. Il tempo Kairos che rappresenta il tempo delle occasioni, si nutre di domande, non di risposte.

Per andare su un piano più pratico: l’eccessiva velocità di valutazione e risposta davanti a un’opinione che mi arriva dagli altri è sterile, non porta da nessuna parte se non, come sempre, davanti a me stesso; è priva di apprendimento e quindi d’interesse.

 

Arte dell’ascolto

Sembra che la maggior parte delle nostre energie nell’ascolto sia indirizzata solamente a trovare una conferma ai nostri paradigmi consolidati; noi non ascoltiamo le parole dell’altro, cerchiamo solo conferme a ciò che già sappiamo; e sulla base dei nostri contenuti selezioniamo ciò che, se simile, può avere accesso alla nostra percezione. Per questo nei percorsi di apprendimento è richiesta la “mentalità dell’apprendista”; una mente sgombra, dove le nuove conoscenze possono essere considerate e, se trovate d’interesse per ciò che rappresentano (e non per il grado di coerenza con le nostre opinioni), essere accolte. Ginnastica quanto mai difficile.

Non liquidare il nuovo con rapide risposte (che saranno conformi solo ai paradigmi consolidati in me) permette di scoprire la grande fertilità della domanda… qualunque domanda è fertile, apre spazi di esplorazione, di possibilità entro cui trovare nuove risposte, nuove conversazioni interiori aperte verso il futuro.

L’arte dell’ascolto è davvero difficile e complessa: non in rapporto all’altro o a quanto ci viene detto, ma per l’enorme rumore che vive dentro di noi, legato alle nostre conversazioni interiori.

Se vogliamo vivere nel “mondo del possibile” (cito qui “l’Arte del possibile” un bellissimo libretto di Benjamin e Rosamund Zander, edizioni Il Sole 24ore, che consiglio caldamente) dobbiamo affrontare il tema delle nostre conversazioni interiori: imparare a vedere come agiscono, come determinano le nostre reazioni, e che funzione di stabilità hanno nella nostra vita.

Capito questo potremo, con lenta progressione, cambiarne qualcuna (di quelle piccole, per iniziare) per vedere se così facendo si aprono maggiori possibilità davanti a noi…

Ricordiamoci che quello che ho nella mente e ciò che dico “it’s only a conversation”… una conversazione, né buona né cattiva, solamente una stringa di parole.