Sally teme così tanto il cambiamento, che lei descrive come il “trovare me stessa”, che, di fronte all’esperienza nuova del campo, per cui nutre molte aspettative, appena scesa dal bus "si trova" e ritorna a casa…
Sulla soglia del nuovo, sulla soglia di se stessa, fa marcia indietro e ritorna alle sue vecchie abitudini, al suo vecchio mondo (che tra l’altro non le piace affatto e di cui sente il limite).
Perché è così difficile cambiare? Domanda scontata, ovvia?
Credo che a noi piaccia restare come siamo, dove siamo, nel nostro comfort, nella nostra zona. Uscire da questa zona fatta di vecchie abitudini e vecchie (nel senso di maturate nel passato) convinzioni, è vissuto come rischio e ci prende un timore panico e infondato.
Pensate al rapporto tra l’equilibrio mentale del verduraio di “Il favoloso mondo di Amelie” e l’azione anarchica punitiva di Amelie che gli modifica una serie di piccole cose (sveglia, pasta dentifricia, lacci delle scarpe, ecc…) gettandolo nella confusione più assoluta.
La stessa cosa avviene in terapia, situazione in cui può capitare (facilmente) che le persone “non hanno mai l’impressione di essere giunte al termine del loro percorso di psicoterapia. Non possono permettersi il lusso di guarire perché rinunciare alla scusa dei problemi radicati nel profondo significherebbe dover cambiare, e questo è esattamente quanto loro speravano di evitare rivolgendosi a uno psicologo”. (Abraham J. Twerski, psichiatra americano che utilizza i Peanuts nella propria attività professionale).
La resistenza al cambiamento è molto più forte delle nostre intenzioni coscienti.
Ritorniamo alla domanda iniziale: a mio parere le abitudini sono la punta dell’iceberg delle nostre convinzioni radicate, le situazioni in cui si cristallizza il nostro modo di concepire il mondo e di relazionarci con esso. Le guardiamo come cose familiari, amiche, e ci tranquillizziamo… finché ci sono loro, ci siamo anche noi.
Cambiare anche una piccola abitudine significa destabilizzare questo complesso equilibrio… è sempre in gioco tutto il nostro essere, in quel calzino, in quella tazzina di caffè…
E’ un po’ triste tutto ciò. Per fortuna lo stesso psichiatra indica il rimedio: “talvolta la miglior cura consiste nel sentirsi dire che dobbiamo modificare certi nostri comportamenti invece di fissarci sulle cause recondite dei nostri problemi.” E “basta un po’ di perseveranza e il nuovo comportamento presto ci apparirà comodo, diverrà una parte qualunque della nostra vita e delle nostre abitudini, e in questo modo faremo piazza pulita del comportamento dannoso.”
Perché non seguire il consiglio?