Inizio oggi una specie di rubrica “Noccioline di resilienza”: si tratta di brevi articoli che prendono spunto dalle vignette dei Peanuts. La lente con cui interpreto le vignette è quella della Resilienza.
Il libro da cui attingo temi e vignette è: “Su con la vita, Charlie Brown!” Oscar Mondadori, di uno psichiatra americano Abraham J. Twerski, che utilizza i Peanuts nella propria attività professionale.
Nocciolina n° 1: “Aver ragione”
Lucy, adorabile e mostruosa, fa la lista dei torti delle persone che conosce (faccio fatica a chiamarli “amici”) perché “Voglio che il mondo sia un posto migliore in cui IO possa vivere”… nella sua paranoia ha deciso di rimodellare tutto il mondo intorno a sé, piuttosto che mettere in discussione qualcosa di se stessa.
La resilienza parte dal movimento opposto: cominciamo da noi e osserviamo i nostri errori personali. “L’unica maniera per rendere il mondo un posto migliore in cui vivere è indirizzare i nostri sforzi nella direzione giusta: cioè noi stessi” (A.J. Twerski).
In noi stessi… cos’è che ci blocca? Che ci limita?
Abbiamo visto, in articoli che parlavano dei paradigmi e delle convinzioni radicate, la funzione dell’”aver ragione” come fulcro del nostro equilibrio meccanico (chiamiamolo così).
Gli eventi sono immediatamente confrontati con questo fattore e, se trovati conformi, passano e sono da noi accettati, altrimenti vengono rispediti al mittente, l’altro, la realtà… “Sarà molto difficile per dati esistenti nel mondo reale, ma estranei al tuo paradigma, attraversare i tuoi filtri.” (Thomas Kuhn).
Dobbiamo provare a mettere da parte l’aver ragione, sospendere per un attimo la reazione automatica che tante disgrazie porta nella nostra vita, altrimenti restiamo lì, in quella zona di cui Lucy è regina: uno stato di presunta perfezione, di assenza di errore… però da soli.
Questa zona che nasce con una funzione di sopravvivenza, si consolida attorno a noi, è nutrita dalle nostre convinzioni radicate, si nutre di tutto ciò che potrebbe portare un cambiamento nella nostra vita, e piano piano ci soffoca in una visione limitata e “perfetta” della realtà.
La realtà è plurima, imprevedibile, caotica, sistemica, “in uno stato di perenne disequilibrio dinamico” (A. Zolli), vive di spazi ampi e infinite interconnessioni di ogni tipo: se sappiamo vedere questo, si genera resilienza in noi, capacità di affrontare con successo il nuovo e vivere pienamente, altrimenti…
Pensate a quanto può pregiudicare la sicurezza questo filtro – sempre attivo negli esseri umani - dell’aver ragione, con la perversione che è nato e agisce proprio per garantirci una zona sicura, una zona comfort in cui vivere. Vediamo solo ciò che è conforme… a noi.
Pensate alla profonda cecità presente in questa zona, che cerca di comprimere la grandezza del reale nei nostri limitati paradigmi radicati: una lente troppo limitata per vivere, e forse anche per sopravvivere.
Seconda nocciolina: oggi si parla di errori… ma in maniera resiliente.
“Dobbiamo imparare dagli errori che commettiamo; così potremo farne di nuovi” (Groucho Marx).
Mi è sempre piaciuta questa frase: è dissacrante e ironica, e apre a profonde meditazioni… mette in conto l’apprendimento come qualcosa di intimamente collegato all’errore (il famoso metodo “Trial and error” anglosassone), ma va oltre… sempre avanti, verso nuovi errori! Perché fare esperienze e commettere errori è un po’ lo stesso percorso…
Cuore della resilienza individuale, il rapporto con gli errori fa la differenza nella vita delle persone: nessuno è immune dall’errore, ma la relazione con esso è il punto in cui si fa davvero la differenza.
Si può sbagliare e restare permanentemente in quell’errore, cercando giustificazioni, negando o ammettendo che sì, si è sbagliato in quell’occasione, ma in realtà è perché… insomma cercare giustificazioni agli errori commessi è l’esercizio più stupido che si possa fare… ti lascia in te stesso, in quel mix di atteggiamenti e comportamenti che costituiscono l’essere umano, almeno a livello superficiale. Ripudiare l’errore commesso ti condanna.
L’errore, come apprendimento, è inoltre strettamente connesso all’esperienza, e l’esperienza spesso alla sofferenza.
Sally, la sorella di Charlie Brown compila due liste, e quella più lunga è costituita “delle cose che ho imparato sulla mia pelle”; è un esercizio interessante e che consiglia Abraham J. Twerski, lo psichiatra americano autore del libro “Su con la vita, Charlie Brown!” (Oscar Mondadori) da cui attingo “in chiave resilienza” gli spunti per le mie Noccioline: fare la lista di tutte le cose fatte male ci permette di diventare consapevoli degli errori commessi, e (aggiungo io):
Più professionalmente: valutate il ruolo che ha l’apprendimento dall’errore in sicurezza; che fonte di miglioramento possa essere, che valore può creare la riflessione sugli errori commessi o sui rischi corsi, per fare prevenzione e creare comportamenti sicuri e barriere protettive adeguate…
Si deve distinguere tra errore e violazione, ovviamente; il primo deve essere oggetto di comunicazione (si pensi alle segnalazioni dei near misses) e deve trovare uno stop nelle forme della sicurezza collaborativa.
La violazione si può definire un “errore volontario”: le scuse possono essere molte (violazioni eccezionali, di routine, ottimizzanti, situazionali, ecc…) ma la risposta una sola: quella dura. La violazione va perseguita.
Applichiamo una regola classica della negoziazione sui principi a questa situazione: “Morbidi con le persone e duri col problema”, equilibrio che vi garantisco funziona: significa che, mentre si deve favorire in ogni modo la segnalazione dell’errore, le cui cause possono essere le più diverse, per farne oggetto di apprendimento e di azione di miglioramento e di prevenzione, si deve invece essere inflessibili sulla violazione, perché volontaria e irresponsabile.
Questa la chiave, in rapporto all’errore, di un buon management della sicurezza.